Questo film è la realizzazione grottesca del motto materno: “se non vieni a trovarmi io muoio”, con l’ovvio corollario che non muore affatto, ma la scena che apparecchia è sempre sontuosa e non priva di una certa magnificenza.
Lo psichiatra, che finge di essere anche un terapeuta che ascolta, racconta le sedute di Beau alla mamma. lo leggo come un attacco a quella terapia che non tocca mai il tema della madre, che le è in qualche modo asservita. Quella scena ci dice che nulla sfugge all’ occhio materno e al suo controllo. Un po’ come per i bambini e i ragazzi accade per la scuola, controllata sempre più saldamente dai genitori. Beau, benché rimasto infantile, non va a scuola: lo incontriamo, infatti, quando ha già una cinquantina d’anni.
Alcuni punti essenziali
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Come accade nelle infantilizzazioni, c’è un rovescio della medaglia, spesso sempre sottotraccia, cioè momento di aggressione alla madre in cui Beau (Bello di mamma?) si trasforma e riprende la sua forma d’uomo vessato e arrabbiato, ma è un istante. Poi ritorna ad essere il debole figlio della padre potente che chiede perennemente scusa e si sente perennemente in colpa. Una colpa che non ha.
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In quel momento la madre ha un insight e dice al figlio “io ti odio”. L’iodio della madre per i figli è un tema troppo sottovalutato.
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Nei flash back lo vediamo bambino più o meno dodicenne, ancora a letto con la mamma che gli dice seduttiva:”mi piace l’uomo che sei diventato”, lo dice due volte. Lui in quel momento è innamorato di una bambina – che tra l’altro gli ha mostrato la mamma, quindi un inconscio beneplacito – anche lei in vacanza con la madre.
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I due bambini si frequentano sulla nave da crociera in cui sono in vacanza ma vengono separati dalle madri, arrabbiatissime per il loro attaccamento reciproco, ciascuna contro con l’altra.
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La scena in cui i due bambini passeggiano sul ponte, mentre il cadavere di un uomo galleggia in piscina a cui i bambini non fanno caso mentre girano intorno al bordo, ricorda il padre morto a cui non si deve dare troppa attenzione.
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A questo proposito, il racconto materno sulla morte del padre è illuminante: la madre gli dice che egli è morto nell’istante in cui ha concepito il figlio (non è così, lo si vedrà verso la fine), simbolizzando un fatto che accade non raramente. E cioè che il padre svanisce, dalla testa della madre, quando concepisce un figlio.
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Il padre è segregato in un luogo segreto nella testa di molti bambini: il sogno ricorrente di Beau si rivelerà più che reale.
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il film mostra quanto il Plusmaterno possa essere ancora più deleterio e annientante per un figlio maschio che per una figlia femmina.
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Senza la mia teoria del Plusmaterno non avrei potuto leggere questo film che sarebbe rimasto un’arma traumatica conficcata nella testa degli spettatori, come ho colto dai commenti dei pochi attoniti presenti in sala.
In conclusione
Non sono un’esperta di linguaggio cinematografico, ma non mi sfugge che qui c’è un salto quantico nel modo di raccontare: immaginifico, grottesco, da realismo magico. Non c’è nulla di classico nella lingua narrativa che usa in questo film. Meno male, così ogni tanto scoppi a ridere per le trovate di Ari Aster, altrimenti il tutto sarebbe troppo insostenibile.
Non so se la madre artista di Ari sia una yiddish mame – cioè una sorta di plusmadre italiana che esercita il controllo con la stessa impunità di manovra ma con un pizzico di astuzia in più – però il regista dimostra di conoscerla molto bene: ne sa raccontare la forza primitiva, tellurica, che lascia poco scampo.