A Firenze una piccola libreria, di appena 35 mq, si è inventata un ingegnoso modo di sopravvivere: corredare ogni libro di un bugiardino con prescrizioni, controindicazioni e effetti collaterali. Ingegnoso perché in questo modo ha fatto parlare di sé, ripagandosi un po’ dell’enorme lavoro di catalogazione. L’idea ha colpito perché, come ognuno sa – almeno dall’adolescenza in poi – un certo libro può aver avuto il potere di alleviare nostre le pene. E’ qualcosa che ogni lettore conosce. Per ogni lettore, c’è stato almeno un libro nella vita che gli ha parlato intimamente e gli ha procurato un vero transfert. Per questo motivo, ciò che spero per questa impresa – il cui catalogo sarà tra poco on line e consultabile, come già per i farmaci – è che non si confonda il modo proprio in cui esattamente quel libro ha innestato in quel soggetto un processo di cambiamento, con una cura che non si può dare in forma generalizzata. Al di là dell’apprezzabile tentativo della libraia, bisogna sottolineare che se un libro giustamente è apprezzato da molti, non su tutti produce gli stessi effetti. C’è una soggettività che reagisce in maniera diversa. Fare – di un farmaco, come di un libro – una medicina generale, che va bene per tutti quelli con lo stesso “sintomo”, non sembra una buona idea. Perché? Perché ci perdiamo la varietà con cui un singolo libro agisce in ciascuno, con cui ci inizia a un dialogo particolarizzato. La farmacia di oggi è uno “spaccio” per un’umanità dolente che viene ammassata e oggettivata sotto poche decine di sintomi. Un mal di pancia in un bambino, tanto per dire fare l’esempio più semplice, ha un significato diverso da quello di un altro bambino e, pertanto, si curerà in maniera particolareggiata non massificata. La sua mamma e il suo papà avranno il compito di capire cosa significa quel male, cosa sta urlando il corpo del loro figlio, cosa gli è stato indigesto. Piuttosto che ampliare questo tipo di approccio generalizzato, dobbiamo limitarlo perché non fa che dire della nostra attuale incapacità di pensare il sintomo. Non è una buona operazione estendere una metodologia tanto pedestre anche ai libri che costituiscono, almeno quelli buoni, un modo per restare umani, cioè soggetti in connessione. Se la cura funziona è proprio perché è particolarizzata su ciascuno e non generalizzata su un sintomo pensato come segno comportamentale, isolato ed eretto a categoria. Per ognuno non c’è IL mal d’amore o LA mancata maternità, ma c’è quel dolore declinato sulla propria storia. E certamente la propria storia viene raccontata anche in relazione a quanto un libro o un film ci suggerisce, ma ad ognuno di noi. La stanza d’analisi, infatti, è piena di associazioni che il racconto di un libro (o di un film) rischiara. E che un orecchio deve accogliere.
#restiamoumani
lp
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