Hikikomori. C’è una narrazione in voga per cui l’hikikomori – il giovane che si auroreclude in casa – sarebbe una sorta di corpo sovversivo che contesta e fa esplodere le contraddizioni della società.
Ora, o quest’idea la applichiamo ad ogni sofferenza psichica, dal momento che ogni sintomo é anche una risposta all’Altro e al sociale, o é una lettura fuorviante di una sofferenza inedita, mai vista in epoche passate, ben più violente e contraddittorie della nostra.
Fare di un hikikomori un eroe rivoluzionario potrebbe anche incistare il suo sintomo, uno tra i più pericolosi e terribili.
Se vogliamo proporre analisi originali e interessanti sulle nuove patologie, bisogna farlo con rispetto per la sofferenza. Ho l’impressione invece che, in questo tipo di letture, i sintomi del ragazzo angoscino soprattutto il terapeuta che non riesce ad accettare la propria finitudine e anche una certa impotenza nel trattamento, il che fa supporre che vedrebbe dunque anche se stesso come abitato da una eroica potenza di guarigione.
Eroe cura eroe.
Fenomeni proiettivi che ignorano i limiti di ogni terapia e di ogni terapeuta.
Se è vero che l’atto del murarsi dentro angoscia tutti perché evoca la morte in vita, la strada probabilmente non è costruire una teoria difensiva. Anche perché purtroppo ho visto più di un genitore abbracciare con slancio questo paradigma – che dà sollievo e toglie un po’ di responsabilità – perdendo forse tempo prezioso.