Un diciottenne racconta, come se fosse una pratica ammissibile, che quando è agitato la madre gli suggerisce di entrare in doccia e poi lo raggiunge per lavarlo in modo da tranquillizzarlo (!).
Alcuni operatori della salute mentale, purtroppo, accolgono ancora con scetticismo i racconti dei toccamenti impropri della madre, minimizzandoli. L’abuso al femminile è confuso con comportamenti affettuosi semi-accettabili.
Le vittime dell’incesto materno, considerato erroneamente soft, si sentono isolate e temono di rivelare la loro esperienza anche perché, se è già complicato denunciare il più riconosciuto abuso maschile, per quello femminile non esiste ancora un vocabolario socialmente condiviso: non ci sono le parole per dirlo.
Anzi, ci sono situazioni che portano a pensare che l’incesto materno non esista: per esempio, come può l’eventuale erezione di un figlio coesistere con l’idea di un abuso? Questa obiezione non ricorda forse i ripugnanti e pruriginosi interrogatori cui le donne stuprate sono state sottoposte da giudici che indugiavano su dettagli intimi?
Erezione e abuso coesistono quando sono sotto il segno dell’amore, un amore certamente perverso, ma che potrebbe non essere codificato così chiaramente da un figlio.
Se ogni abuso può generare dissociazioni, segreti collusivi, minimizzazioni di un evento devastante, quello della madre mina il soggetto alla base, lo colpisce nel suo stesso diritto all’esistenza.
(Amori tossici)