Essendo la frustrazione il centro della relazione genitori-bambino, è bene spiegare che la frustrazione non è la privazione. Quest’ultima riguarda il negare un oggetto altamente simbolico: per esempio privare il bambino di ascolto, privarlo della possibilità di giocare, o della scuola, privare un adolescente di un’uscita con i suoi pari.
La frustrazione invece è quando per esempio la madre dice NO al bambino che le chiede troppo seno, sotto qualunque forma, o al prepubere che chiede troppo cibo, troppi beni superflui, o il padre all’adolescente che vuole essere continuamente foraggiato di denaro, di vestiti, di cellulari nuovi, di oggetti che ritiene importanti ma che non lo sono davvero. Il danno che qui i genitori operano è un danno immaginario, non è un danno vero, è un danno che produrrà un guadagno.
Poi, tanto per completare il quadro, c’è la castrazione che riguarda un oggetto immaginario: per esempio occorre operare una castrazione verso il figlio convinto che la madre sia la sua partner, o il figlio che pensa che la sua considerazione debba essere più alta di quella riservata al padre, che i genitori siano sempre lì per loro, al loro servizio. In questo caso l’oggetto su cui bisogna operare la castrazione è un oggetto immaginario (i genitori sono al mio servizio) e questo serve a fare entrare i figli in una compagine in cui esiste anche l’altro.
È importante dire che quando non avvengono questi due ultimi processi, quando non c’è un NO che riguarda un oggetto reale (il seno, il cellulare) o un oggetto immaginario (la mamma per me), i figli rimangono incollati ai genitori e non hanno alcuna idea che possa esistere un altro separato da loro e dalle sue pretese.
Allora, se non ci può separare dal genitore, può accadere che ci si separi con violenza. Come i figli hikikomori verso la madre: troppe madri oggi sono picchiate dai figli adolescenti. Ma non lo dicono.
Non pensate che tutto questo possa avere a che fare anche con i femminicidi?