05 LUGLIO 2019 di MARINA CAPPA Vanity Fair

La vita (auto)distruttiva degli adolescenti: da un film alla realtà

La psicoanalista Laura Pigozzi sull’«Ultima ora» e le responsabilità dei genitori nella società di oggi

In classe, i ragazzi sono impegnati a finire il compito. All’improvviso, un botto sotto le finestre. È il corpo del professore, che si è buttato giù senza una parola. Inizia così L’ultima ora di Sébastien Marnier, appena uscito nei nostri cinema con il divieto per i minori di 14 anni. Da quella prima scena nasce una storia in cui i protagonisti sono gli studenti adolescenti (tutti ottimi voti e famiglie formalmente ineccepibili) e il supplente che cercherà di capire i loro comportamenti all’apparenza normali, ma dietro i quali si nasconde un progetto devastante.


Di ragazzi e famiglie si è occupata a lungo la psicoanalista Laura Pigozzi, che ha appena pubblicato Adolescenza zero. Hikikomori, cutter, ADHD e la crescita negata (ed. nottetempo) e che ragiona su questi temi dopo aver visto in anteprima L’ultima ora.

La prima reazione al film?
«Nel mio libro parlo dell’attrazione per l’abisso in una società senza funzione paterna e il film è esattamente questo: i genitori sono assenti, gli insegnanti di ruolo sono inservibili, il preside è come i genitori ricchi impegnato solo a rastrellare titoli e buoni voti. Il supplente (l’attore Laurent Lafitte, ndr) è l’unico che guarda gli studenti e si preoccupa per loro, mentre in genere gli adulti se ne occupano ma non preoccupano: non investono nel loro futuro se non formalmente. Questi ragazzi non hanno una guida, un vero maestro e quindi sono da soli».

Il suicidio iniziale del professore rappresenta questa abdicazione?
«Sì, è l’assenza oggi del padre, che spesso si autoelimina».

Non è vero che i padri oggi sono molto più presenti?
«Lo sono per le faccenducce, cambiare i pannolini o portare il bambino al parco. Ma nell’educazione vengono fatti contare sempre meno, non incidono nelle scelte educative, etiche».

E le madri?
«Sono molto presenti, anche troppo. Non riescono a staccarsi dai figli e creano rapporti di dipendenza, che generano forme di autodistruzione. E’ un passaggio cruciale: l’autoaggressione è quel distacco dalla simbiosi che non riesce, se non in forma patologica. Bisogna essere in due a volere la separazione, momento iniziale della crescita. Un ragazzo da solo può non farcela».

Rispetto alle famiglie, la funzione della scuola qual è?
«La scuola va sostenuta, è l’ultimo baluardo della formazione e delle separazione, l’ultima chance per i ragazzi di fare legame sociale fra di loro e costruire un nuovo mondo».

Nel film i compagni di classe formano un gruppo forte.
«Ma non è un gruppo dei pari: c’è un solo capo, Apolline. È un gruppo totalitaristico, emblema di un modo di pensare fanatico e anche un po’ idealizzante. Il modo in cui parlano di ecologia è questo, cioè un modo che resta incollato, nella modalità della ripetizione ossessiva, alla visione dei padri e non cambia le cose».

In che senso?
«Costruire un nuovo mondo significa non restare fedeli a quello dei genitori, tradire i padri. Qui il tradimento non avviene, i ragazzi non mettono a morte il sapere dei genitori anzi lo idealizzano come unica verità, quindi diventano fanatici. E in nome di questo fanatismo si effettua la distruzione».

Però progettare la distruzione, come fanno nel film, non significa ribellarsi ai genitori?
«Solo apparentemente. In realtà, quei ragazzi con gli adulti non hanno veri conflitti. Se manca il conflitto con la generazione precedente cade l’impianto della società, non si crea il nuovo mondo. E gli adolescenti che non confliggono con noi, lo fanno con se stessi, quindi si autodistruggono. Questa è la mia lettura del loro autolesionismo. In famiglia si è contenti se i figli prendono buoni voti. Ma per noi voti troppo buoni sono un allarme».

Tornando alla scuola: con gli adolescenti, come fa ad assumere un ruolo che non hanno avuto i genitori?
«È vero, però è fondamentale. Da qualche parte bisogna lasciarespazio al pensiero critico. Ad esempio vorrebbero più ore di Filosofia – come stanno facendo in Gran Bretagna che la stanno inserendo sperimentalmente anche alle elementari – e anche, perché no?, elementi di psicoanalisi, un minimo di formazione che ti permette di sapere che l’angoscia si può trasformare, che l’abisso si può affrontare: ciò fornirebbe tasselli alla funzione paterna perduta».

Quali sono questi tasselli?
«Che con il mondo si devono istituire compromessi. È necessario passare dalla totalizzazione dell’idealizzazione infantile alla parzializzazione della vita adulta dove si fanno compromessi e si perde inevitabilmente qualcosa. Invece oggi la perdita è tabù, perché c’è la capitalizzazione di tutto, a livello politico come economico. Si è perso il segno umanizzante della perdita. Ma se non scendi a compromessi diventi un terrorista, perché entri nella dinamica fanatica».

Il fanatismo riguarda anche ragazzi figli di genitori «liberal»?
«Noi abbiamo combattuto i nostri genitori, ma non siamo stati capaci di farci combattere dai figli, non abbiamo tollerato il conflitto. Abbiamo pensato idealisticamente di creare una famiglia perfetta, ma la famiglia perfetta è diventata soffocante, totalitaria. E il totalitarismo del bene è ancora più difficile da combattere, mentre per noi era facile: il nemico era il patriarcato. Adesso noi adulti siamo accoglienti, cerchiamo di capire i ragazzi: e allora come fanno a combatterci?».

Dovevamo evitare di capirli, non accoglierli?
«Non li abbiamo allenati alla resilienza. Quindi i ragazzi cercano di auto traumatizzarsi perché qualcosa non è stato dato loro. Quando mettiamo il bambino nel lettone perché è spaventato dal buio, gli stiamo impedendo di allenarsi alla resilienza, di affrontare le sue paure».

In Italia L’ultima ora è vietato ai minori di 14 anni: che cosa ne pensa?
«Si dice che il rischio è l’imitazione, ma chi vuole trova già tutto online. Il fatto è che, ancora una volta, vogliamo proteggere i ragazzi. Però, il divieto funziona come il proibizionismo sull’alcol: all’epoca bevevano tutti come spugne».