Provo un grande fastidio ed una enorme preoccupazione quando vedo pubblicare e promuovere libri che inneggiano all’insensatezza del lavoro! Scrivono: “Che senso ha lavorare? E’ un controsenso, una fatica, un’idiozia. Stiamo coi figli, invece che passare tanto tempo al lavoro…”
Ecco dai, moriamo felicemente dentro i nostri buchi claustrofilici casalinghi. L’essere umano ha bisogno di relazione e i figli di spazio libero dai genitori. E di un’etica del lavoro. Necessitiamo come l’aria della rete relazionale e politica che il lavoro è: non dimentichiamoci che dal lavoro sono nati femminismi e lotte operaie. Cambiamo le relazioni, i giochi di potere ma, per carità, teniamoci il lavoro e passiamo il suo senso ai figli.
Penso che queste, diciamo così, “riflessioni” sbaglino la mira, assecondando e provocando la semplificazione del pensiero che va per la maggiore e che fa fare link a casaccio o quantomeno con superficialità. Non buttiamo via il bambino con l’acqua sporca.
Freud ci ha insegnato che l’affettività e la realizzazione professionale sono i due assi che tengono insieme la vita e che quando ci scompensiamo lo facciamo più spesso su uno di questi assi. Ed è ancora così: finché non si ha una vita affettiva indipendente e un lavoro proprio, la vita si può dire che non sia ancora iniziata.
Senza una buona idea di lavoro, infossati dentro casa, c’è la morte psichica e relazionale. Con la pandemia abbiamo avuto impennata record di accessi ai pronto soccorso psichiatrici. Soprattutto di giovani e di donne.
Pensiamoci, prima di abbracciare mode peregrine che porterebbero molti a un vagabondaggio psichico, forse anche ai bordi della follia.
Pensiamoci, perché in molti ci cascheranno, come accade ogni volta che si promuove un godimento (mortifero) al posto di un desiderio. O quando si rende un desiderio (per esempio per un lavoro) una cosa idiota e senza valore.