Come spesso accade gli artisti vedono prima e il film del geniale e giovane regista Xavier Dolan, Mommy, racconta proprio di ciò che accade in una situazione di Plusmaterno, nel fallimento della separazione. Una madre, di fronte alle rimostranze del centro di accoglienza per la condotta del figlio sedicenne  che in mensa ha appiccato il fuoco e leso gravemente un compagno, decide di prendersi cura personalmente del figlio. Una decisione forte, ma anche impulsiva e un po’ onnipotente. In tutta la storia, mai una parola spesa tra madre e figlio sul compagno leso per sempre dalle ustioni, mai un pensiero sull’assunzione di responsabilità. Il ragazzo diciassettenne, tornato a vivere con la madre, prende iniziative seduttive nei suoi confronti, mosse a cui la madre non si sottrae. Sorride ai toccamenti furtivi del figlio, anche sul seno. Molti i baci sulla bocca tra i due, abitudine che troviamo consumata frequentemente anche tra le madri che incontriamo nel nostro quotidiano. La madre psichicamente incestuosa non dà la vita, ma dà la morte: Diane, la madre, infatti, si fa chiamare Die, (to die=morire). E quando alla fine, stremata, la donna si separa da lui per abbandonarlo in un ospedale psichiatrico si occuperanno del figlio non una figura di cura,  ma tre figure maschili che lo sederanno e gli applicheranno  scariche elettriche: non padri che educano nei tempi morti, ma padri aggressivi, padri-natura, padri-Cosa che non si distinguono, dal punto di vista della funzione, dall’abisso materno ma ne rappresentano la versione violenta. Il figlio cerca di scappare lanciandosi contro la vetrata del centro in cui è rinchiuso. La mancata separazione li ha resi folli, madre e figlio.

Ricordiamo che l’onere della separazione spetta alla madre. Se la prima simbiosi madre-figlio da una struttura è solo perché ad essa segue la separazione che unicamente la madre può fare. E ha il dovere di fare.