Le basi di un soggetto, così come le basi di una comunità, si fondano sulla divergenza, sulla disobbedienza. Come riteneva Hannah Arendt, se si guarda alla disobbedienza civile come «espressione di un’azione politica, essa diventa una valvola di sicurezza nei momenti in cui le stesse istituzioni fanno naufragio». La disobbedienza civile è la riattivazione del contratto sociale istituito tra gli uomini, quando esso si sta smarrendo.
Questo è quanto ho scritto in Troppa famiglia fa male, per cui quando stamattina sento un giornalista de Il Tempo incitare alla disobbedienza civile che, nella sua oscura visione, dovrebbe servire a ricongiungere a Natale i genitori coi figli adulti, penso che se anche avesse letto la Arendt di certo non l’ha capita. Non è che possiamo pensare che quando le istituzioni ci dicono qualcosa che non ci garba – e per alcuni buoni motivi che riguardano i contagi e i morti -, stanno per questo facendo naufragio. Questa miopia ha un nome, si chiama “familismo amorale”, come direbbe Edward Banfield, e cioè il «massimizzare i vantaggi materiali e immediati del proprio nucleo familiare» a discapito del legame sociale. Tra parentesi, è proprio questo atteggiamento – la famiglia prima della società – che, secondo Banfield, starebbe alla base del consenso del popolo italiano al fascismo.
Orsù, piantiamola di fare i bambini: il Natale è una festa dell’infanzia e ora ci è chiesto di essere uomini e donne, cioè di non metterci nel posto dei figli bisognosi di coccole natalizie, ma in quello di chi protegge i figli.
E i vecchi.
Sveglia!