C’è una università che promuove lo studiare a casa attraverso la scena sorridente in cui una mamma porta la merendina a una adolescente.
Al posto della merendina casalinga e sedentaria, che t’ingrassa come un otre e ti spegne il cervello, non è meglio alzarsi e fare un break con i compagni di studio al bar dell’università?
Imparare insieme ad altri, non familiari, è un’esperienza di comunanza di idee, corpi, voci, odori sconosciuti, un allenamento alla diversità che nessuna casa potrà mai offrire.Al contrario, studiare a casa rinforza il narcisismo infantilizzante perché disabitua alla condivisione e al confine che questa insegna.
In un’epoca in cui c’è un vertiginoso aumento di reclusioni giovanili, di hikikomori, una pubblicità che suggerisce una scelta di quel tipo sembra quanto mai infausta per i figli, ma promette un godimento inaspettato per i genitori, che sono i destinatari del messaggio. (Infatti non parla ai figli: li considera già senza desideri, o con l’unico desiderio di fare cose comode, facili, rimbambenti?)
Fare soldi a spese dei ragazzi, rassicurarsi a spese dei figli: le precise coordinate di una società che si sta spegnendo.
Lasciamo le università online a chi già lavora, a chi è già nel mondo.
Ecco un ricordo di Turgenev:

“Crebbi in un clima brutto e poco allegro. Fratelli e sorelle non ne avevo. Ricevetti la mia educazione in casa. Del resto, di che mai si sarebbe occupata la mia cara mammina se fossi stato messo in un pensionato o una scuola di Stato? I figli servono a non far annoiare i genitori“

In tante mamme, anche sui social, sostenevano che l’università da casa è meno cara che un affitto in città. A parte che ci sono rapporti costi/benefici incommensurabili, come quello di investire sulla libertà dei figli, ad ogni modo queste persone sollevano sempre una obiezione ad ogni soluzione proposta, pur di non accettare l’autonomia dei figli.
Alla considerazione che i ragazzi possono convivere con più ragazzi e abbassare notevolmente i costi – per giunta aumentando di molto la tolleranza agli altri, la gestione dello spazio, il rispetto – rispondono che così fanno casino e non studiano. Li hanno cresciuti come bambini in festa senza senso del dovere e del lavoro, forse? Parrebbe di sì.
Al contrario, cominciano a sorgere molte cohousing tra giovani che studiano e che lavorano: non semplici coinquilini ma progetti comunitari con regole precise di vita e lavoro comune (pur senza diventare un, se pur formativo, kibbutz)
Seconda soluzione: possono lavorare e studiare, come abbiamo fatto in tanti e in epoche in cui all’università si studiava sui libri (molti) e non sulle (a volte scarse) slide preconfezionate. Obiezione: poi non hanno tempo di studiare. Mah, non sono certo l’unica ad aver preso due lauree lavorando, e cum laude entrambe. Si può fare. E senza la merenda della mamma, ma piuttosto coi caffè della vicina o i break fatti con chi viveva con me in quel momento.
Terza soluzione: hai chiesto a tuo figlio cosa veramente desidera fare? Seguire un desiderio dà l’energia per molti sacrifici, anche quello di lavorare per ottenerlo. Risposta non pervenuta e occhi a palla (a volte anche nel figlio, disabituato a pensare in proprio). Quanti giovani uomini e giovani donne ho visto bloccati nella vita perché hanno, fino a quel momento, sognato il sogno di un altro!
Comunque, chi vuole tenersi i figli a casa avrà sempre un argomento per farlo. I plusgenitori hanno imparato ad essere eccellenti manipolatori per poter giustificare l’ingiustificabile.